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21 agosto: Hverfell, Godafoss, Akureyri

Grotta vulcanica, cratere, cascate, cittadina a nord

21 Ago

La prima tappa della giornata è la grotta vulcanica Grjotagia.
Entrando si avverte subito il calore sprigionato dall'acqua che l'allaga. I più scendono appena di qualche metro e poi escono, ma io, Fabio, Luska e Massimo Maverick avanziamo fin dove è possibile. Il caldo è forte, la puzza di zolfo non aiuta di certo, ma restiamo a scattare foto in quella bella e particolare grotta. Uscendo do una bella craniata sul soffitto, beati caschetti speleo in macchina di Gianmarco! La crosta di sangue mi ricorderà quella grotta per diversi giorni...

Hverfell è un'altra zona vulcanica, un grande cratere a cui si accede per un sentiero polveroso. Scattiamo foto a quel paesaggio e poi torniamo alle macchine.
Prossima tappa: Godafoss.

E' incredibile come in Islanda si passi da zone desertiche completamente spoglie a zone vulcaniche ancora attive con terreni che fumano e a immense masse di acqua che formano spettacolari cascate. E Godafoss è una di queste, le cascate del Dio. Anche qui io e Fabio ci scattiamo foto a vicenda vicino ai bordi umidi e scivolosi della cascata.

La cascata, la massa d'acqua, ti attira senza che te ne accorgi. E in un attimo ti ritrovi a precipitare nel vuoto.
Leggende urbane, anzi islandesi.
Io sono ancora qui.

Il nostro campo, quel giorno, è nella città di Akureyri, sul fiordo, dove abbiamo modo di conoscere l'intelligenza degli indigeni: anziché lasciare alzata la sbarra e chiuderla quando l'ultima macchina della carovana è passata, il tizio della reception la riabbassa ogni manciata di secondi facendo passare un'auto per volta, rallentando così l'operazione all'inverosimile, sotto le maledizioni e le imprecazioni di Maurizio.
Vorrei farmi una doccia, ma dopo aver sentito che chiedono 300 corone per 4 minuti desisto.

Nel pomeriggio, che ci viene lasciato libero, andiamo con Fabio il Pakistano a cercare minerali su una parete di fronte alla cittadina. Si aggiungono Gianmarco e Roberta e Massimo Maverick e la moglie. Lasciate la auto a bordo strada, ci incamminiamo verso un prato. Un recinto formato da 3 fili di ferro ci sbarra la strada.
Il Pakistano ci passa sopra il martello da geologo e le scintille che produce sono un chiaro segno della corrente che passa per quei fili... Col suo aiuto scavalchiamo.
Restiamo nella zona per un paio d'ore, a goderci un altro giorno di sole in terra d'Islanda.

Al ritorno al campo io e Fabio decidiamo di andare a fare un giro in città e magari acquistare qualcosa. E infatti ci buttiamo in un negozietto, con buona parte del pavimento rivestito di monete di rame, che ha di tutto, dai souvenir all'abbigliamento. Là mi compro un bel pile, una maglietta e dei regali.
La sera facciamo una passeggiata dopo cena in città, quasi deserta, a parte noi.
Ci infiliamo in un pub e ci sediamo a un tavolo, io, Fabio, Gianmarco e Roberta. C'è una matta che canta canzoni country, accennando a qualche passo di danza, ha una certa età ma si atteggia a giovincella. Un tipo suona il pianoforte, un altro una chitarra.
Poi arrivano due ragazzi al banco, e uno di loro si avvicina ai musicanti. Poi attacca a cantare Elvis Presley e canta pure bene quell'altro matto, ha voce e la fa sentire. Noi ci pieghiamo in due dalle risate.
Nel locale c'è poca gente. Un vecchio che avrà avuto l'età di Garibaldi se ne sta seduto con una birra in mano muovendosi a ritmo di musica.
Da un tavolo vicino a noi si alza un cinquantino alticcio e, con una bottiglia di birra in mano, si unisce al ragazzo a cantare. Solo che è stonato come una campana rotta, ma canta più forte degli altri.
Mai visto uno spettacolo così.

E con la birra in corpo finisce anche il quinto giorno in Islanda.

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